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FORMIA – Contributo di Antonino Celeste sul Referendum del 4 dicembre prossimo

Analisi comparativa della riforma del titolo quinto della carta costituzionale.

L'Avv. Antonino CELESTE nel suo studio di Formia
L'Avv. Antonino CELESTE nel suo studio di Formia
Il 7 ottobre 2001 in Italia gli italiani furono chiamati a decidere se confermare o meno la modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione della Repubblica Italiana.

Essendo un referendum confermativo (e non abrogativo), la consultazione non richiedeva la partecipazione al voto della maggioranza degli iscritti alle liste elettorali per essere valida.

"Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001"

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 10 433 574       64,20%

RISPOSTA NEGATIVA NO  5 816 527           35,80%

L'unica riforma federalista attuata nel nostro Paese è stata effettuata dal governo di centrosinistra , uno stravolgimento istituzionale. Tale riforma costituzionale fu quindi approvata dal solo centrosinistra, nel 2001, e poi regolamentata con la legge La Loggia nel 2003 (Governo Berlusconi II).

Ha modificato alcuni articoli del Titolo V della Costituzione, stravolgendo le competenze di enti locali e statali: se prima le competenze erano dello Stato tranne che nelle materie attribuite alle Regioni, la riforma costituzionale stabilì invece che le competenze spettavano a Regioni ed enti locali, salvo quelle espressamente devolute allo Stato. E qui creava un vulnus dove le Regioni ritennero di inserire tutte le competenze non espressamente indicate. E per questo da quel momento furono sollevati innumerevoli contenziosi tra istituzioni. La riforma attribuiva a Regioni ed enti locali la possibilità di imporre tributi, e stabiliva un "fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante", mai attuato dalla legislazione nazionale.

La riforma del Senato proposta dal governo Renzi modifica anche quella parte della Costituzione che regola il rapporto tra Stato ed enti locali e cerca di porre rimedio a quello che, visto sul campo, pare non abbia funzionato o potrebbe funzionare meglio.

Il Titolo V della Costituzione, infatti, cambia in seguito alla riforma del Senato. Ma che cos'è il Titolo V? Si tratta di quella parte della Costituzione italiana in cui vengono decisi i ruoli e le competenze delle autonomie locali: comuni, province e regioni. Dagli anni Settanta al 2001 il Titolo V è stato soggetto a numerosi cambiamenti, quasi sempre in un'ottica federalista, che quindi spostava i poteri, decentrandoli dallo stato alle regioni, che di queste modifiche sono state le vere protagoniste.

Le regioni hanno quindi sempre avuto più competenze, tra le quali la più importante è stata indubbiamente la gestione della sanità (ma anche l'energia o il turismo), e una sempre maggiore autonomia, anche nel modo di regolarsi al proprio interno. La riforma del 2001 ha fatto sì che le regioni avessero autonomia in campo finanziario e amministrativo, potendo quindi decidere liberamente in che modo spendere i loro soldi, quanti consiglieri avere e quale sarebbe stata l'entità del loro stipendio. Non solo: in quella riforma lo Stato determinò le proprie competenze esclusive, lasciando alle regioni la libertà di assumere le competenze di quelle che non venivano nominate. Cosa che, però, ha causato parecchi contenziosi tra le due parti.

Uno degli aspetti più delicati è quello finanziario: il denaro che le regioni potevano spendere liberamente era raccolto grazie a Iva, Irpef e Irap. Mentre le prime due sono raccolte dallo stato, che poi decide che parte versare alle regioni, la terza è invece un'imposta esclusivamente regionale. Il che però non significa che sia la regione a decidere quanto raccogliere, può solo agire sulla famosa aliquota di base, scegliendo quanto aumentarla o diminuirla.

Anche questo aspetto ha creato numerosi problemi: l'autonomia delle regioni ha aumentato a dismisura le loro competenze e quindi le spese su cui si poteva decidere. Ma l'autonomia fiscale è invece rimasta più ridotta. Il che significa che a spendere erano le regioni, ma a raccogliere i soldi con le tasse era lo Stato, che si prendeva carico anche dei malumori dei cittadini per spese che erano però state decretate dalle regioni e che lo Stato doveva coprire. Si spendono soldi, insomma, tanto poi a coprire i buchi ci pensa lo Stato. Un meccanismo che impedisce alle regioni di essere incentivate a essere virtuose e agli amministratori regionali di venire "puniti" dagli elettori per i loro comportamenti fiscalmente irresponsabili; la colpa ricadeva sempre sullo stato, visto che è il Parlamento a decidere l'aumento delle tasse.

I buchi di bilancio di una singola regione, quindi, venivano pagati da tutti gli italiani, mentre la colpa dell'aumento delle tasse ricadeva sul governo. "Ogni Ente si è trovato a poter incrementare le spese senza dover pagare alcun prezzo politico in termini di inasprimento delle tasse locali", ha scritto Luca Ricolfi. Gli scandali delle spese pazze nelle varie regioni hanno messo ulteriormente in evidenza i rischi di una eccessiva autonomia regionale, senza che lo stato potesse intervenire riducendo le indennità o i fondi.

Detto tutto questo: che cosa cambia oggi? La scomparsa delle Province dalla Costituzione e della legislazione concorrente tra Stato e Regioni sono la parte fondamentale di una riforma che riporta la maggior parte delle competenze in seno alla Stato centrale, che può anche commissariare regioni ed enti locali in caso di grave dissesto finanziario. Vengono invece premiate, con la delega di ulteriori competenze, le regioni virtuose da un punto di vista finanziario. Lo Stato, inoltre potrà esercitare una "clausola di supremazia" verso le Regioni a tutela dell'unità della Repubblica e dell'interesse nazionale. Con la modifica del Titolo V della Costituzione viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle regioni. Sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, rapporti con la chiesa, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.).

L’auspicabile risultato del referendum in positivo o in negativo è adesso valutato più o meno demagogicamente da tutti i versanti politici evidenziando ed esagerando le peculiarità della riforma al fine di ottenere un risultato favorevole alla propria strategia lasciando il cittadino in un amletico dubbio.

Uno dei baluardi di chi avversa la riforma è che i componenti del senato non saranno eletti dal popolo ma dai partiti. Ma oggi i componenti del parlamento non vengono eletti singolarmente dai cittadini ma su liste predisposte dagli stessi partiti e quindi questa lamentela ha solo il sapore della demagogia pura.

Certamente un lavoro così mastodontico merita di essere verificato sul campo e, in un sistema democratico, il cittadino potrà verificare la sua bontà e successivamente incidere con il proprio consenso una volta constatata la funzionalità.

Questa riforma non contiene nulla di perpetuo o immodificabile.

In democrazia nulla è per sempre ed è sempre suscettibile di miglioramento. Tanto vale provare e certamente gli argomenti che in futuro verranno portati a favore di una modifica migliorativa possono fare parte della propaganda che accompagnerà le future campagne per le varie candidature e votazioni.

Avv. ANTONINO CELESTE

Avv. Antonino CELESTE
Avv. Antonino CELESTE

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