Un intervento del prof. Pasquale Scipione.

Quasi come il volgere delle stagioni anch’esse incoerenti, visto il clima sconvolto dai mutamenti meteorologici, politici ed amministratori locali aprono guerre campanilistiche donchisciottesche lanciando dardi verbali spesso privi di conseguenze fattuali sul piano della risoluzione concreta dei problemi presenti e passati del nostro Golfo.
E’ passato oltre un anno dalle dichiarazioni di guerra a mezzo stampa sulla delocalizzazione dei pontili petroliferi e sulle giuste rimostranze degli operatori balneari di Vindicio e dei cittadini di Gaeta preoccupati gli uni per le loro attività economiche, gli altri per la loro sicurezza;ancora più tempo è passato dall’insorgere della diatriba relativa alla delocalizzazione delle attività di itticoltura e di tutti traffici afferenti al porto commerciale di Gaeta,ma nessuna decisione concreta è emersa. Convegni, dichiarazioni di sindaci, mozioni regionali,effluvi di parole che hanno percorso il Golfo da Punta Stendardo al Garigliano producendo danni come avvenuto dagli cinquanta in poi.

La prima grande battaglia persa è stata senz’altro quella dell’installazione della Raffineria a Gaeta.
L’illusione della industrializzazione come fattore unico di progresso in un contesto di bellezze naturali unico,ha obnubilato una classe politica ed oggi le nuove generazioni pagano le conseguenze di quelle scelte,viste le chiusure già avvenute (raffineria, vetreria ecc..) e quelle minacciate vedi Richard-Ginori.
L’opposizione di molti cittadini gaetani e di tutta Formia dell’epoca,non ha avuto la forza di fermare le lobby politico-economiche che volevano la raffineria ad ogni costo anche pagando certa stampa che si era fatta portavoce acritica di quelle istanze. Cortei di protesta di cittadini, pronunciamenti di consigli comunali,comitati,resistenza di proprietari di terreni espropriati e privati della loro fonte principale di ricchezza, la coltivazione ortofrutticola, sono stati calpestati. Agricoltura e paesaggio,depauperati in modo irreversibile, oggi sono considerati fonti primarie di sviluppo come attestato dall’ ultimo disegno di legge di preservazione dei suoli agricoli proposto dal Ministro Catania. Basti pensare che nel Golfo, scelte urbanistiche attuali minacciano di compromettere ulteriormente i residui di agricoltura rimasti proseguendo nella cementificazione del territorio. Vedasi la cocciutaggine con cui il sindaco di Formia insiste nel voler costruire un nuovo cimitero agli ARCHI in spregio alla presenza su quel sito di un uliveto di pregio o cambi destinazione d’uso del territorio per insediamenti edilizi ( Vedi ex-AVIR ecc…), .
Qualche proprietario,in cambio del terreno espropriato per installare la raffineria,è stato accontentato con piccolo lotto edificabile sul lungomare di Serapo ove ha potuto costruirsi una casa dopo il “furto” avvenuto e consolidato anche dal fatto che, a dismissione avvenuta dell’impianto, il terreno non è più tornato al primitivo proprietario per i costi elevati necessari alla bonifica. Accanto a questa aggressione al territorio che rischia di continuare, nessuno sa con dati certi quali siano stati gli effetti collaterali di una presenza industriale così pericolosa ed inquinante.
Quanto hanno inciso, insieme ad altre cause quelle conseguenti alla raffinazione di idrocarburi sulla diffusione di tumori nel nostro territorio? Tutte le fogne della raffineria convogliavano le acque di risulta per lavaggi di linea o di condotte di trasferimento di prodotti da un serbatoio all’altro in vasconi terminali dove venivano aspirati i residui idrocarburi e le acque sottostanti inviate a mare senza alcun trattamento.
Chi possiede i dati relativi alle risultanze epidemiologiche i cui livelli dovevano essere rispettati dalla Raffineria man mano che la normativa diveniva più cogente in rapporto alle acque scaricate a mare o alle emissioni della famosa eternamente accesa “candela” che bruciava a cielo aperto metano e idrogeno solforato? Chi non ricorda la polemica scoppiata negli anni ottanta sul traffico di pet-coke derivante dalla macinazione dello scarto di catrame prodotto dalla lavorazione del petrolio e da quello degli idrocarburi dalla cui distillazione discendono tra gli altri residui il benzene ed altre sostanze notoriamente tossiche che generano leucemia,anemia plastica ecc.
Nessuno è in grado di stabilire quali danni abbia provocato all’agricoltura del territorio la polvere leggera di pet-coke prima depositato nella località 25 Ponti e poi spostato oltre il Garigliano,né sono quantizzabili quelli provocati alle spiagge e alla pesca con lo scarico a mare del lavaggio delle navi che trasportavano quei prodotti o dei camion che facevano la spola tra Gaeta e Sessa Aurunca. Poche elite si ponevano all’epoca il problema della salvaguardia dell’ambiente. Si è continuato con il caolino rifornito alla Richard-Ginori in crisi, con l’itticoltura ,con i pontili petroliferi ,con una dissennata speculazione edilizia ed una tardiva e insufficiente rete fognaria e spesso inefficace depurazione e con combustione a cielo aperto (incendi casuali?)dei rifiuti solidi urbani sotto il monte Campese a Formia e a Monte Tortona e Le Vignole a Gaeta.
Il tutto condito da due centrali nucleari: una a Foce Verde di prima generazione con moderatore a grafite e l’altra con raffreddamento ad acqua pesante alla foce del Garigliano ambedue dismesse,ma ambedue pericolosamente presenti per le scorie ancora non del tutto smaltite. E qui si scopre il capitolo meno noto e controverso:l’inquinamento nucleare prodotto non solo dalle centrali ma sembra dalla presenza agli ormeggi nel porto di Gaeta di navi Nato a propulsione nucleare. Dove scaricava la nave l’acqua di raffreddamento dell’impianto? Quale autorità controllava se mai vi siano state avarie a bordo? Ha ragione un signore che ha postato un articolo su un blog qualche tempo fa affermando in polemica con un amministratore di Formia che “ anche i cittadini di Gaeta sono cittadini del Golfo e da cinquantanni hanno una bomba sotto il sedere”. Sbaglia però quando asserisce che l’inquinamento del Golfo è inesistente. Forse è troppo giovane per ricordare che spesso in passato tornando a casa dal mare, ci si doveva lavare i piedi di catrame raccolto sulla sabbia. Il destino degli abitanti del Golfo è comune, perciò basta campanilismi. Non vogliamo sollevare polveroni allarmistici, ma richiamare gli amministratori dei nostri territori da quelli comunali a quelli provinciali e regionali, se ancora ne sono capaci, a indicare confrontandosi con noi cittadini, le reali vocazioni di sviluppo del nostro comprensorio,assumendo decisioni concordate conseguenti, smettendola di lanciare slogan come sta accadendo anche per altri problemi recenti ( scuole, tribunale ecc.) perché da esse discendono il benessere dei cittadini gravemente compromesso dalla crisi in atto.
Il Direttore Dott. Sergio Monforte (A cura di)