FORMIA E IL SUO STEMMA : 160 ANNI DI STORIA,
SIMBOLISMO E SPERANZA DI RINASCITA
di Renato marchese
Quest’anno ricorre un anniversario di grande valore simbolico per la città di Formia: i 160 anni dall’adozione ufficiale del suo stemma civico. Questo emblema, carico di storia e significato, fu originariamente concepito e disegnato nel XIX secolo dal talento formiano Pasquale Mattej, pittore vissuto nell’Ottocento, che seppe condensare in un’immagine potente l’essenza e la resilienza della sua città natale.
Lo stemma storico, così come ideato dal Mattej, presenta una composizione ricca di elementi allegorici. Al centro campeggia l’Araba Fenice, mitologico uccello di fuoco simbolo per eccellenza di rinascita, raffigurata nell’atto di risorgere dalle proprie ceneri. Questa figura è inscritta in uno scudo dal campo azzurro, bordato da una scacchiera che alterna i tre colori della bandiera italiana: verde, bianco e rosso. Nell’angolo superiore sinistro dello scudo (destro araldico), un sole raggiante infonde luce e calore alla scena. L’insieme è timbrato da una corona muraria dorata, simbolo dello status di Città. A incorniciare inferiormente lo scudo vi sono due fronde (spesso interpretate come alloro o palma, simboli di gloria e vittoria), incrociate e legate da un nastro porpora svolazzante. Su questo nastro è impresso il motto latino che suggella l’intera composizione e ne chiarisce il messaggio fondamentale: “Post Fata Resurgo”.
Questa frase, “Dopo le avversità (il fato), risorgo”, non è una mera scelta retorica, ma affonda le sue radici nelle vicissitudini storiche di Formia. Essa commemora la straordinaria capacità della città di risollevarsi dopo eventi catastrofici, come la distruzione subita ad opera dei Saraceni nel IX secolo e, in tempi più recenti, le profonde ferite inferte durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo stemma diviene così un testamento perenne alla tenacia e allo spirito indomito della comunità formiana.
Tuttavia, questo potente simbolo di rinascita si confronta oggi con una realtà complessa. Dopo un periodo di notevole splendore nel dopoguerra, durante il quale Formia si affermò come centro turistico e artistico di rilievo, gli ultimi quarant’anni circa hanno segnato, secondo l’osservazione di molti cittadini, un progressivo declino. Si avverte la sensazione che amministrazioni succedutesi nel tempo abbiano privilegiato interessi particolari, trascurando il benessere collettivo e il patrimonio storico-culturale della città. Questa percezione di abbandono ha contribuito a un appannamento dell’identità storica e turistica che aveva reso Formia celebre e apprezzata fino alla fine degli anni Settanta.
È proprio da questa constatazione, unita a un profondo legame con la mia città natale, che nasce il desiderio di riproporre lo stemma in una veste nuova, non per sostituire l’originale, ma per infondere una rinnovata speranza. In occasione di questo 160° anniversario, ho voluto creare una mia interpretazione pittorica dell’emblema, concepita come un auspicio per una nuova rinascita artistico-culturale che possa ridare lustro e importanza a Formia.
Nella mia versione, l’Araba Fenice assume un ruolo ancora più centrale e dinamico: è raffigurata con tratti più definiti, un aspetto più fiero e quasi “spavaldo”, nell’atto di emergere con forza dallo scudo tricolore, quasi a simboleggiare una volontà di superare i confini attuali e proiettarsi verso un futuro più luminoso. Il sole continua a splendere, forse con intensità ancora maggiore, irradiando la sua luce anche dietro la figura principale, come simbolo di una speranza che non si spegne.
Questo mio lavoro vuole essere un umile contributo, un augurio affinché Formia possa ritrovare la sua vocazione artistica, culturale e, soprattutto, turistica, riscoprendo e valorizzando le qualità che l’hanno resa speciale nel passato. Che lo spirito indomito della Fenice, racchiuso nel motto “Post Fata Resurgo”, possa davvero ispirare una nuova stagione di crescita e consapevolezza per tutta la comunità formiana.
Nelle immagini lo stemma originale realizzato da Pasquale Mattej e la mia rielaborazione pittorica.
Edito da Luigi Cocomello –